Aspettando l’uscita di È tempo di ricominciare, il secondo volume della trilogia di Carmen Korn iniziata con Figlie di una nuova era, Giulia Pretta riflette sul tema della ricostruzione, un fil rouge che percorre tutto il romanzo.

Avevamo lasciato le quattro amiche alla fine della seconda guerra mondiale tra le macerie di Amburgo e di una Germania tutta da ricostruire. Ciascuna di loro e dei loro cari esibivano ferite più o meno profonde e qualcuno risultava ancora disperso in mezzo a un mondo turbinoso e incredulo dove la morte quasi non si decideva a fare spazio alla speranza di un futuro migliore. Queste donne che, prima come figlie o sorelle, e poi come mogli e madri avevano vissuto l’orrore di due conflitti, in questo nuovo capitolo sperano a bassa voce che il “mai più” che risuona in tutti i continenti non sia solo una vuota frase.

Il secondo volume della trilogia di Carmen Korn riparte dal marzo 1949. C’è chi è ad Amburgo e convive con le cicatrici lasciate dalla guerra come Henny che deve fare i conti con il tradimento ignobile del marito che ha portato all’arresto della sua migliore amica. Esiste chi non sa come tornare indietro, come Käthe. Chi senza il dramma del proibito e del rischio sente vacillare la propria passione, come Ida. E c’è chi dalle macerie e dai calcinacci vede la possibilità di una ricostruzione, come Lina e Louise.

Perché se in Figlie di una nuova era era il binomio vita-morte a unire Storia e personaggi, in È tempo di ricominciare è la ricostruzione il motore di tutto. Ciascuno a suo modo deve capire cosa fare di quanto la guerra ha lasciato e trarne il meglio. E questa ricostruzione si muove su due livelli: quella più strettamente materiale e quella emotiva.

Quella materiale trova facile gioco. Amburgo, un insieme di rovine e calcinacci dopo i massicci bombardamenti, è pronta a farsi rimettere a nuovo e a offrire possibilità. Emblematiche sono Lina e Louise che, insieme al socio Momme, decidono di abbandonare del tutto la loro vita precedente, cioè l’insegnamento e il teatro, e di aprire una libreria intitolata a Kurt Landmann che non avrà mai la possibilità di partecipare a questa rinascita.

Una libreria dove arredi rotti e vecchi non devono trovare posto, ma essere latori di un nuovo periodo, di una nuova stagione dove i libri possono stare senza timore tra gli scaffali e non tra le fiamme dei roghi.

Per alcuni non c’è riparazione a quanto fatto dalla guerra. È il caso di Käthe che, come annunciato dal finale dipinto di speranza del romanzo precedente, è tornata dal campo di concentramento, ma non sa nulla di Rudi e non riesce a trovare la forza di ricominciare. Si circonda di distruzione vivendo in baracche fatiscenti o barconi mezzo affondati e procurando aborti come se volesse fare terra bruciata intorno a sé e non permettere neanche a un germoglio di vita di comparire.

…….

Se sei interessato all’articolo completo, CLICCA QUI