Ecco a voi un assaggio di alcuni testi prodotti dai corsisti del laboratorio di Scrittura Creativa “Lettera 22”, per il progetto Intrecci Creativi. Prossimamente in esposizione.

Foto di Francesca Di Blasi

Fessure. Fessure su uno spazio verticale. Fessure come linee tratteggiate di un’autostrada a quattro corsie. Un murales sulle fessure, scritte indecifrabili, sigle da writer… no no no, troppo visivo, scontato. Se fosse un rumore? Fruscìo di carta sfiorata, o la traccia sinusoidale delle ruote di una bicicletta, e un postino che scende, col borsone penzolante e semiaperto, pieno di… no no, è un tempo che non c’è più, oggi vanno in motorino, molto più veloce e tante meno lettere, praticamente solo bollette e pubblicità, che odio… quella non manca, certo, e viene portata sì ancora in bicicletta, come una volta, ma da ragazzi con la pelle un po’ più scura di noi e di noi un sorriso un po’ più sereno, dato dal futuro e dal sopravvivere ogni giorno. No.
Non volevo dire questo. Oggi tutto si svolge in un altro scenario, da quanti secoli non ricevi
più una lettera in una busta, con un foglio dentro da aprire e una grafia scritta a mano, scritta magari da… da, non c’è più neanche lei, o se c’è manda solo messaggini e post digitali, pieni di faccine, tutte sorrisi e cuori, i sorrisi sono belli ma ricordano la morte, come un esorcismo, come fanno le scimmie, sì, ridiamo per mostrare la morte nascosta dietro la pelle del cranio, la morte che arriverà ma ora non c’è, vade retro, ridiamoci sopra…  appunto. E ancora quella immagine, marrone azzurro un ocra sfumato, e le fessure. Sembra un affresco post moderno, un quadro decadentista, e nell’autostrada non ci sono automobili ma solo ombre, ombre di persone che passano, non scrivono e quindi non imbucano, passano oltre e vanno via, senza lasciare un segno, senza lasciare niente, mentre anche noi alla ricerca di una secessione di esponente sempre più alto riusciamo a rinchiuderci dentro a quattro mura sempre più strette e la chiamiamo libertà, portando il confine all’estremo, il perimetro più piccolo possibile, non potendo separarci da noi stessi.

Testo di Umberto Niceforo