Il racconto e il romanzo sono due tipi di narrazione che, pur avendo aspetti comuni, presentano specifiche caratteristiche.

Ci possono essere racconti di 50 pagine e romanzi di 30, anche se questi casi estremi fanno supporre che qualcosa non va: il racconto troppo lungo tende a stancare, il romanzo troppo breve tende ad essere involuto, poco sviluppato e motivato.

Il racconto ha in genere un numero molto limitato di personaggi; mette a fuoco una sola situazione o problema, e presenta una tematica coerente o omogenea.

Nel romanzo i personaggi sono in genere numerosi, le tematiche possono essere diverse, nel senso che si può passare dal divertimento alla drammaticità, senza che a narrazione appaia incoerente. Il suo congegno narrativo è ovviamente più complesso, quindi è importante tenerne sotto controllo il ritmo.

Il racconto sarà letto tutto d’un fiato, lasciando un’unica ma precisa sensazione, mentre normalmente la lettura del romanzo si svolge in più fasi e quindi viene interrotta. Il racconto deve possedere una maggiore intensità per lasciare una sensazione netta e forte, mentre i romanzi lasciano strascichi di atmosfere meno intense ma più ampie e diffuse.

 

Il racconto si basa su un’unica idea forte, mentre il romanzo su tante idee deboli.

Per meglio comprendere il significato di “idea forte” pensate alla “Metamorfosi” di Franz Kafka: il povero Gregor Samsa una mattina si sveglia e scopre d’essere diventato un mostruoso insetto.

Il racconto tende ad essere monotematico (per questo, se è troppo lungo, alla fine annoia), mentre nel romanzo conta l’intreccio tra tanti temi- principale e secondari – proposti. Per questo il romanzo ha bisogno di spazio, di respiro, per svilupparsi in modo completo.

Nel racconto conta l’idea di per sé, unica, che focalizza tutta la storia. Non i sono – o sono appena accennate – trame secondarie; gli eventi sono centrati in un momento ben preciso: il fattore tempo non è quasi mai rilevante.

Nel romanzo contano invece le relazioni tra le idee, che generano la trama principale e quelle secondarie, e il loro sviluppo, svolto anche su piani temporali distinti.

Ragionate sulla vostra storia: è bastata un’unica idea forte? È focalizzata, concentrata: in un oggetto, un personaggio, un momento, un pensiero? Oppure trae la sua forza dall’intreccio, dal percorso degli eventi in varie trame, dalle relazioni tra i personaggi, da un largo respiro temporale? Nel primo caso optate per la scrittura di un racconto, nel secondo tentate la strada del romanzo.

 

Se si vuole scrivere un racconto, la fase del progetto è utile, ma non necessaria. Raymond Carver (“Il mestiere di scrivere”) disse di non conoscere mail il finale di un suo racconto prima di scriverlo. Scriveva partendo da un’idea, da una frase che risuonava da giorni nella sua testa. Come lui, molti altri scrittori di narrativa breve. Flannery O’Connor (“Scrivere Racconti”) ad esempio, quando iniziava a scrivere un racconto, non ne conosceva il finale e lasciava che fosse il fluire stesso della narrazione a suggerirglielo. Persino Scott Fitzgerald, preciso programmatore dei suoi romanzi, studioso e progettista delle loro architetture sin nei minimi dettagli, espresse il parere che i racconti vanno scritti in “una o tre botte”, più un’altra botta per la revisione. Una botta al giorno. Massimo in quattro giorni il racconto dev’essere finito. Un’altra scrittrice (Natalie Goldmer) parla del raccontare come di un’esperienza Zen, figlia d’illuminazione e non della ragione, libero fluire d’idee.

Intendiamoci: anche mentre si è alle prese con un’opera lunga e complessa ci si può lasciare andare, abbandonandosi alla scrittura senza remore. Tutto sta poi nel correggerla e inquadrarla.

Valeria Falso

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