PER LA NUOVA RUBRICA FANTALICA

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“DOV’E’ IL TUO SEGNALIBRO?”

MARTINO GARONZI
socio fantalica,
ci invia un estratto da“La variante di Lüneburg”
di Paolo Maurensig

Segue il brillante
commento del socio

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“Il tempo che meditai sulla mossa da fare si staccò dolcemente dal tempo reale, non ebbe più nulla a che vedere con il computo dei minuti, con lo scandire delle ore, con il ticchettio degli orologi e il logorio dei meccanismi, poiché era puro presente: una navicella proiettata alla velocità della luce… e quanto poco contava allora se il resto, la terra stessa, il pianeta che avevo lasciato, continuava chissà dove a consumare velocemente i suoi secoli.

Ogni scelta implica, di per sé, l’abbandono di tutte le alternative. Se non fossimo costretti a scegliere, saremmo immortali. E a questa regola dovetti infine sottostare anch’io.

Quella successione di attimi intercorsi dal momento della mia decisione all’esecuzione materiale della mossa sulla scacchiera posso vederli ancora, fotogrammi in trasparenza, precipitarsi verso una conclusione preannunciata, come certi sogni che, ribaltando causa ed effetto, si concludono con un fatto reale che determina il nostro risveglio.

Ecco dunque materializzarsi la mia mano e, sotto l’impulso di una costellazione di neuroni posta presumibilmente in un punto dell’emisfero destro del mio cervello, eccola spostarsi verso un certo pezzo – ricordo come fosse ora quella testa di cavallo reclinata all’indietro, quasi nell’atto di imbizzarrirsi –, per toglierlo dalla casella in cui stava e collocarlo in una attigua…

Tutta la mia vita, gli accadimenti piccoli e grandi, le gioie e le afflizioni susseguitesi in essa, tutto galleggia come sopra una sorta di stagnante e nebulosa superficie, dove non sempre le cose stanno nel punto in cui si rivolge loro lo sguardo, dove nulla è chiaro o conseguente, o logico, o semplicemente collegato ad altre cose, dove nulla ha confini precisamente delineati o forme completamente percettibili – nulla, eccetto quella posizione di scacchi che arde ancora nella mia memoria di luce propria, e mi appare come immagino sia apparso e rimasto impresso a Mosè il roveto in fiamme.”

È tratto da “la variante di Lüneburg” di Paolo Maurensig

 

A volte per chi non gioca a scacchi non è facile immaginare come sia possibile immergersi in modo tanto incondizionato in una cosa astratta, come se fosse reale, come se potessimo toccarla e fosse sempre a portata di mano ma nello stesso tempo richiedesse un gesto. Allo stesso modo in cui vediamo il cibo e afferriamo una forchetta, facciamo il gesto di afferrare la chiave di lettura del segreto che abbiamo davanti ogni volta che diventa ovvio. Non si tratta solo di un gioco, si tratta di un modo di pensare. Per esempio il Sudoku non è solo un gioco, è anche un modo di pensare, righe e colonne che si incrociano, geometrie, e così via. La differenza è che il Sudoku è per sua natura essenzialmente banale, non nel senso che è facile, nel senso che è completamente ovvio che se ci mettiamo al lavoro, anche ci volesse un giorno, possiamo trovare sempre la soluzione (basta riempire fogli di conti). Con gli scacchi è diverso, gli scacchi hanno il potere di immergerci in un abisso di inevitabilità senza uscita in cui non abbiamo la minima idea di cosa sta succedendo anche se ce l’abbiamo davanti, mentre d’altra parte tutto ci appare a tratti fattibile. Tipicamente quando si affronta un problema ci sono due cose da fare: la prima è capire se si può risolvere, la seconda è effettivamente risolverlo. Non bisogna saltare nessuna di queste due fasi. Ci sono giochi, come il Sudoku, in cui la prima fase è banale, come dicevo. Negli scacchi entrambe le fasi sono fondamentali, presenti e incalzanti. Dico incalzanti perché la sensazione è che riusciremo a sciogliere l’enigma, ma quando ci mettiamo a farlo troviamo ostacoli banali, intralci, che possono finire per compromettere la nostra volontà. E’ in questo tentativo di confutare questi ridicoli intralci che assumiamo l’aspetto di zombie, completamente assorti da una scacchiera. Il motivo per cui quando siamo affetti dalla droga degli scacchi è così difficile uscirne è che siamo costantemente sfidati con domande a cui abbiamo sempre la risposta pronta ma nel rispondere ci accorgiamo di dover correggere uno o due dettagli che poi crescono e crescono e diventano insormontabili. Ogni volta che smettiamo o rinunciamo è come ammettere che quei due o tre dettagli insignificanti ci hanno sovrastato. Noi non vogliamo farci sovrastare da dettagli insignificanti. Ed è per questo che ogni mossa ci scaglia nel baratro e diventa così personale: abbiamo un orgoglio tale da non poter ammettere di saper affrontare solo il generale e non il particolare, sapere cosa fare a lungo termine ma non saper fare il primo passo, non saper scegliere tra i vari primi passi a disposizione e soprattutto abbiamo il terrore, in ogni momento, che quei dettagli che abbiamo giudicato insignificanti in realtà abbiano proporzioni molto più grandi e non ci permettano di portare a termine il piano, in altre parole, abbiamo il terrore che il nostro stesso piano sia sbagliato. Di cadere nell’abisso. E’ questo che ci motiva a rimanere: vogliamo raccontarci che il nostro piano è giusto e trovare conferme di ciò in quello che segue. Scoprire che il nostro piano è sbagliato equivale a cadere nell’abisso, perché ormai ci abbiamo dedicato troppe energie per venire bellamente confutati da un intralcio che avevamo chiamato insignificante.

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