da “Il Bello scrivere” di Enrico Rulli
Scrivere una storia senza aver ben chiara in mente la trama comporta il rischio di creare situazioni da cui poi è difficile uscire. E’ la sindrome che porta al cosiddetto Finale con Dirigibile.
La genesi di questo termine deriva dalla storia, non si sa quanto vera, di un romanziere il quale aveva scritto un racconto su un falso profeta che convince i suoi seguaci a vendere tutti i loro beni e raggiungerlo su una certa collina nella notte in cui, secondo lui, sarebbe venuta la fine del mondo. Lo scrittore non riusciva a pensare ad un buon modo per risolvere la situazione. Del resto non poteva chiudere la narrazione lasciando il gruppo sulla collina, ad aspettare non si sa cosa.
Così, decise di far precipitare un dirigibile su di loro, uccidendoli tutti.
Questo fatterello è divenuto sinonimo di finale che spunta dal nulla, senza alcuna ragione se non l’esigenza di dare un termine alla narrazione.
Anche opere famose hanno un finale con dirigibile. L’esempio più eclatante è il film: 2001 Odissea nello spazio del 1968 di Stanley Kubrick.
Kubrick aveva contattato lo scrittore inglese Arthur C. Clarke perché necessitava di un buon soggetto per un film ambientato nello spazio. Lavorando alla sceneggiatura, però, Kubrick espose più di una perplessità sul finale che, pur funzionando narrativamente, non era all’altezza del forte effetto emotivo che il regista voleva ottenere dalla pellicola.
Kubrick rimase per ben due mesi chiuso nella sua villa nelle campagne inglesi a rivedere il lavoro.
Dopo svariati tentativi, non riuscendo a trovare niente all’altezza delle aspettative, decise per una serie di scene dal grande impatto visivo ma di oscura interpretazione.
Nella pellicola, l’astronauta Bowman, unico sopravvissuto di una spedizione alla volta di Giove, una volta in orbita intorno al pianeta gigante avvista un gigantesco monolito nero.
Avvicinatosi con una capsula, questa viene accelerata in un viaggio che permette al regista una lunga sequenza cromatica. Improvvisamente, l’astronauta si ritrova in una stanza che gli fornisce cibo e un bagno. In una serie di scene montate con maestria, l’astronauta invecchia in solitudine finché, prossimo alla fine, vede davanti a sé il monolito.
L’immagine seguente mostra un feto cosmico che pare scrutare la terra dal cielo, e questo segna la fine del film.
Numerose sono state le interpretazioni proposte dalla critica a questo finale, molte delle quali filosofiche. Questo finché lo stesso Kubrick affermò: “Ognuno è libero di speculare a suo gusto sul significato filosofico del film, io ho tentato di rappresentare un’esperienza visiva, che aggiri la comprensione per penetrare con il suo contenuto emotivo direttamente nell’inconscio.”
Ovvero, un finale con dirigibile.
L’unico che parve aver capito l’intento del regista, fu l’attore Rock Hudson che, in occasione della prima del film, al termine della proiezione dichiarò: “C’è qualcuno in sala che sappia spiegarmi qualcosa?”.
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